Per i sindacati "Non ci sono le condizioni" per una riapertura, per la Ministra Azzolina, invece, a settembre si tornerà in aula regolarmente. Appare come un rompicapo senza fine, un enigma senza soluzioni: la scuola italiana, che si ritrova in emergenza anche in ordinaria amministrazione, si trova oggi a fronteggiare la più complicata delle sfide. Mentre le università hanno saputo agilmente affrontare le difficoltà del periodo, complice una didattica molto diversa e strumenti, risorse e competenze idonee alla causa, la scuola italiana è di fronte ad un bivio: rischiare di perdere un numero incalcolabile di studenti - le stime del rapporto SVIMEZ sono agghiaccianti - o tentare il tutto per tutto per riaprire. Non si tratta di un mistero, né tantomeno di una circostanza omessa e mai affrontata: se qualche anno fa, dinanzi alle varie riforme della scuola, abbiamo assistito alle condizioni critiche delle cosiddette "classi pollaio", a progetti mai partiti, ad un precariato crescente, ad una continuità didattica mai realmente garantita, complici le inefficienze degli uffici scolastici provinciali e il sistema lento, lentissimo dell'ingresso nel comparto scuola, oggi siamo testimoni di una ripresa necessaria come non mai. I bambini, i ragazzi, hanno bisogno di tornare a scuola. Ne hanno bisogno perché sono appena usciti da mesi a dir poco agonizzanti e alienanti, in cui l'istruzione si è ridotta a delegare gli strumenti informatici di didattica a distanza come sostituti del rapporto alunno-docente; mesi in cui gli stessi insegnanti non hanno potuto valutare, non hanno potuto pienamente trasmettere conoscenza, ma soprattutto mesi in cui la socialità è svanita. E' qui che, purtroppo, si delinea il vero ruolo della scuola: un collante sociale, una necessaria quanto fragile casa che permette, talvolta, di abbattere certi muri. La chiusura di quei cancelli è stata sofferta. E' stata sofferta perché le case non sono tutte uguali, le famiglie non sono tutte uguali, così come non lo sono i quartieri, le periferie, le provincie. Le disuguaglianze che il sistema-scuola cerca di assottigliare sono mastodontiche, la distanza è abnorme. Chi ne ha sofferto di più? Probabilmente, i più piccoli, sia sotto il profilo didattico che sociale. Se pensiamo, ad esempio, ad un bambino di 7 o 8 anni affetto da disturbi specifici dell'apprendimento, risulta immediato pensare a quanta solitudine, quanto scoramento possa aver sopportato in questo periodo. E soprattutto, quante occasioni di socialità e di apprendimento sono mancate. Le scuole superiori, purtroppo, sono un altro capitolo critico. Una maturità, quella 2020, fatta a metà, senza scritti, con il quinto anno terminato quasi quattro mesi prima. Senza ultima campanella, senza pianti allo scoccare dell'ultim'ora. Consapevoli, i maturandi, di dover colmare un gap non irrisorio con i "colleghi" diplomati delle classi precedenti. Come loro, anche gli studenti delle classi precedenti. Con cosa si scontra tutto questo? Con le risorse che mancano, con gli insegnanti che appaiono impossibili da stabilizzare, i concorsi che non prendono tutti, la lentezza della macchina amministrativa italiana che prevede di assumere ancora tanti precari, perché, specie al nord, mancano tante cattedre da parecchi anni. L'impatto di Quota 100, purtroppo, si è sentito. Questo tema è stato affrontato più volte: pensare a politiche attive del lavoro, con manovre di prepensionamento feroce e di massa, senza minimamente agevolare il ricambio, corrisponde ad un suicidio della macchina amministrativa e del settore privato. Quali conseguenze? Un dato su tutti, estremamente rilevante: dal mese di maggio 2020, i pensionati sono circa 23 milioni, a fronte di 22 milioni di lavoratori. Significa che i contributi versati, quindi la percentuale di reddito versata, da 22 milioni di lavoratori, deve soddisfare per intero gli assegni pensionistici - molto più onerosi - addirittura di più individui di coloro che versano. E l'indice di gravosità della spesa pensionistica sale, il debito pure, e la disoccupazione aumenta. Un classico dramma all'italiana: pensare ai vecchi - che votano! - dimenticandosi dei giovani. Così, la neo-abilitata professoressa di lettere rimane precaria, il ragazzino di 14 anni vedrà cattedre cambiare ogni anno, verso un futuro che non lo vedrà protagonista. Il motivo? Una scelta politica. Questa, però, è la vera sfida del nostro tempo: provare a reinventare la scuola con i mezzi di cui disponiamo, cercando di non lasciare indietro nessuno. Se non dovessimo farcela, la perdita risulterebbe inqualificabile. In termini umani, soprattutto.