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La notte di fuoco di Napoli contro il lockdown

2020-10-25 06:00

Simone Dei Pieri

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La notte di fuoco di Napoli contro il lockdown

Il 23 ottobre a Napoli si è segnato, secondo molti, un punto di non ritorno politico. Si tratta infatti se non della prima perlomeno della più impon

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Il 23 ottobre a Napoli si è segnato, secondo molti, un punto di non ritorno politico. Si tratta infatti se non della prima perlomeno della più imponente manifestazione contro le misure di contenimento del COVID-19.


La notte tra il 23 ed il 24 ottobre in centinaia sono scesi in strada per manifestare contro le misure troppo stringenti a dire di alcuni volute dal Presidente della Regione Campagnia Vincenzo De Luca per contenere i numeri del contagio.


I dati sono impietosi: dall'inizio di ottobre, ogni settimana si è infatti registrato un raddoppio dei casi e dei ricoveri in terapia intensiva, portando quasi a capienza massima i posti in diverse Regioni d'Italia e costringendo i Presidenti delle singole regioni (quando non già i singoli Sindaci) a prendere provvedimenti urgenti.


Una situazione delicata che, come in molti avevano preannunciato già a maggio, ci pone al centro della seconda ondata della pandemia che secondo gli studiosi dovrebbe durare tutto l'inverno.


E che è quindi solo agli inizi.


Le misure previste dal Governo al momento sono più moderate rispetto a quelle di marzo, ma ciò non esclude un DPCM che nei prossimi giorni inverta la rotta. Intanto sui fatti di Napoli è necessario fare una riflessione indubbiamente più analitica e meno "pancesca".


Infatti a far eco a chi ha denunciato la presenza di clan, ultras e gruppi neofascisti, ci sono i manifestanti che rivendicano come propria la manifestazione con assoluta fermezza. Tra loro vi sono tanti padri e madri, figli e prima di tutto lavoratori che avvertono l'urgenza di non poter lavorare e la frustrazione di non poter agire in alcun modo.


L'evento porterà sicuramente a ripercussioni e con ogni probabilità a nuovi focolai, per questo è da condannare, ma contemporaneamente apre le porte ad una nuova riflessione.


Oltre a scongiurare una crisi di posti letto ed una crisi economica, dobbiamo iniziare a pensare per tempo ad un altro rischio, quello sociale, che riguarda migliaia di famiglie in Italia.


Già durante il primo lockdown sono stati tanti a soffrire di problemi psicologici, ad accusare la crescente mancanza di risorse economiche e la mancanza di dispositivi atti a lavorare o studiare da remoto (come PC, tablet o cellulari) che per altre fasce di popolazione erano quasi scontati.


Tacciare di criminalità chi è solo esasperato è un gioco al massacro che non va fatto, soprattutto in questo momento in cui tutti -chi più, chi meno- hanno bisogno di supporto. La verità, come sempre, sta nel mezzo.