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Cara democrazia, liberaci dall'odio

2020-09-25 05:00

Paolo Francesco Reitano

Apertura, catania, denise bagnato, diritto penale, forza italia, francesco zappalà, legge cirinnà, legge scalfarotto zan, lgbtq, omofobia, uguaglianza formale e sostanziale, unict, unioni civili,

Cara democrazia, liberaci dall'odio

Cara democrazia, aspiro a che tu permetta alle persone di esprimere la propria personalità in maniera limpida, priva da forme di paura; aspiro a che

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Cara democrazia, aspiro a che tu permetta alle persone di esprimere la propria personalità in maniera limpida, priva da forme di paura; aspiro a che tu possa permettere alle persone LGBTIQ+ di non dover legittimare il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere, evitando, così, il carico emotivo di dover gestire un coming out in una società che presenta modelli culturali lontani dal ritenere, in concreto, omosessualità e transessualità normali espressioni della persona umana. E se è vero che tu, democrazia, vuoi garantire la libertà di manifestazione del pensiero di tutti coloro che vivono sotto la tua ala, allora è bene che tu criminalizzi tutte le forme di discriminazione e di violenza che non consentono una vita libera ed uguale, perché non è un’opinione la promozione dell’odio. Con queste parole, Denise Bagnato, studentessa di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Catania, presenta la propria riflessione, il grido di una comunità che chiede rispetto, uguaglianza, e soprattutto giustizia. Si è raccontata ai nostri microfoni."Sono molto vicina alle tematiche che riguardano  i diritti umani. Sono iscritta a giurisprudenza proprio per questo, per essere attiva e un giorno, poter dire “anche io ho salvato la mia terra”, di fatto la mia aspirazione è quella di essere giudice o di far parte della corte di giustizia. So che non posso fermarmi, perché un giurista non può farlo. C’è un motivo perché mi sono avvicinato a questo tema, soprattutto per la manifestazione di Forza Italia, in merito alla legge Scalfarotto - Zan. Per loro, questa legge, è una privazione della libertà."A lei fa eco Francesco Zappalà: "Penso che qui non si parla di libertà di pensiero e di opinione, bensì di una legge che serve ad arginare un fenomeno sociale assai preoccupante. È inimmaginabile come ancora nel 2020 ci siano soggetti che discriminano chi ama e prova attrazione verso persone dello stesso sesso, andando fuori da determinati canoni, "imposti" dalla società. Consideriamo anche che gli omosessuali come altre fette della società considerate diverse, ma ci siamo mai chiesti cosa è la normalità? Chi potrebbe mai stabilirlo?"Continua, Denise: "N

on è possibile scambiare l’art. 21 (libertà di espressione), con un principio di uguaglianza che loro hanno voluto storpiare. 


E’ necessario scongiurare l’idea che questa legge vada contro l’art 21, creando una categoria privilegiata. A causa di discriminazione denunciate o non, è palese che le comunità LGBTQ+ siano una minoranza. A fronte di un’uguaglianza sostanziale, che rimuove gli ostacoli sociali, è necessario con politiche attive e mirate dare vita ad un’uguaglianza sostanziale.
  •  Quali sono per Denise le caratteristiche di una classe privilegiata? 
"Classe privilegiata è quella delle autorità pubbliche che hanno, proprio in quanto privilegiata, una responsabilità enorme in mano. “Il pesce puzza dalla testa”, lo sappiamo bene: se qualcosa nella nostra società non funziona, non è solo per il popolo, ma a priori vi sono dei problemi. La troppa burocrazia, determinate leggi che vengono fatte con troppi tecnicismi e commi di difficile interpretazione, in grado di appesantire l’apparato burocratico e che appesantiscono il popolo, questo una classe privilegiata non dovrebbe permetterlo, perché crea difficoltà al posto di creare soluzioni. "
  • Chi sono gli ultimi?
"Quelli che lo Stato oggi non ascolta: i migranti, che pregano per non morire in mare. Gli ultimi sono coloro a cui la legge non dà risposta, gli emarginati. Pensando agli ultimi, mi vengono in mente coloro che cercano giustizia, e quest’ultima non dà risposte perché la giustizia in Italia è lenta, lentissima. Ultimo è chi non ha la voce per poter esternare i loro bisogni e lo Stato non dà loro gli strumenti per esprimersi. In Italia, se un extracomunitario arriva e trova lavoro come lavapiatti, a distanza di 10 anni è ancora lavapiatti, differentemente da altri lavori. Quindi l’ascensore sociale, la mobilità sociale è deteriorata, è morta. Gli ultimi sono coloro che vedono i loro sogni bloccati, a cui non viene data la disponibilità di sviluppare i loro desideri."
  • Che cosa rappresenta, per te, il concetto di “inclusione” in uno Stato che non crea determinate condizioni di uguaglianza? E quanto è efficace lo strumento penale nell’abbattimento delle barriere e degli ostacoli sociali? 
"Se la società non ti permette di essere un individuo pensante incluso in ogni ordine sociale, vi è una lotta contro questo stesso pensiero. Se la vinci, allora va bene, la società comincia ad accettarti. Altrimenti, resti ai margini. Molti che non hanno la forza di combattere questa società, per questo ho preferito dare voce a questa tematica. Le idee di tolleranza e di inclusione sociale passano attraverso lo strumento penale fino ad un certo punto, poiché lo strumento penale, avendo funzione di extrema ratio, viene solo dopo che una certa parte di consociati ha ritenuto come prassi che vi sia un certo comportamento definito corretto e viceversa. A quel punto si innesca lo strumento penale con funzione general preventiva, evitando che si commettano certi atti. Finché si parla di omicidio, è chiaro ai più, ma ora sono nate una serie di norme che però il popolo non sente gravi al punto da adoperare lo strumento penale. Non sempre lo strumento penale riesce a diffondere una cultura di tolleranza e di inclusione in merito a tale tema. Soprattutto in questo caso, vi rientra la morale, l’etica di ciascuno, le proprie convinzioni, soprattutto religiose o sociali, anche in merito ad un concetto personale di accettabilità. Non c’è, quindi, una immediatezza sul fatto di non commettere tale atto. Ci vuole quindi una sensibilizzazione di un certo tipo per evitare tali pensieri, per evitare tali discriminazione. 
  • Andiamo un po' in là con la fantasia: domani, Denise viene nominata Primo Ministro. Cosa farebbe in tal senso?
"Opererei su determinati temi oggettivi, come ad esempio la discriminazione sul posto di lavoro. Di qualsiasi genere, dalle etnie alla discriminazione di genere. E' necessaria, però, una forte operazione in grado di coinvolgere la scuola e la formazione. Va educato il bambino, sì, ma insieme alle famiglie, che vanno sensibilizzate. Talvolta, le situazioni più drammatiche derivano da circostanze precarie all'interno dei nuclei familiari. Se mamma e papà non ti accettano, sarai condannato a vivere un incubo"
  • E per quanto concerne il discorso adozioni? 
"La necessità della comunità LGBTQ+ esiste, non è fittizia. La stessa legge sulle unioni civili, purtroppo, nonostante sia simbolo di un gran passo avanti, mostra delle discrepanze pericolose. Un piccolo esempio? Una differenza sostanziale tra l'unione civile e il matrimonio è l'assenza dell'obbligo di fedeltà. In sede di separazione, l'infedeltà risulta aggravante per i matrimoni, al contrario delle unioni civili. L'assunzione di base, quindi, è errata e discriminante. Sulle adozioni, l’Europa gioca un ruolo fondamentale: l’Italia da sola non si sente di muoversi e ha bisogno della spinta. L’Italia sta ad aspettare e, anche in questo caso, la Chiesa deve fare un passo avanti."

 Riportiamo in calce la riflessione completa di Denise, approfondimento fondamentale per i diritti sociali e umani: affinché l'ultimo, un domani, non sia più tale, abbiamo bisogno di questi pensieri, di questo coraggio. 


L’istituzione a commettere o la commissione di atti di discriminazione o di violenza per motivi fondati su omofobia e transfobia non è libertà di manifestazione del pensiero! Questo il punto di partenza per interpretare il disegno di legge Scalfarotto-Zan a modifica degli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale: l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione o di violenza per motivi fondati su omofobia e transfobia deve poter integrare la sezione del codice penale inerente i delitti contro l’uguaglianza; è necessario prevedere anche il divieto di istituire organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza e la punizione per coloro che vi partecipano, ne prestano assistenza, ne promuovono o ne dirigono l’attività. L’ordinamento italiano non prevede tuttora una normativa specifica per i reati di omofobia e transfobia: lacuna legislativa a cui far fronte alla luce di un contesto internazionale che condanna le violazioni dei diritti umani delle persone LGBTIQ+, già a partire dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, adottata nel 1966, in cui è stato dichiarato dal Segretario Generale Ban Ki-Moon che le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender sono nate anch’esse libere ed eguali. Del contesto europeo, poi, particolarmente significativo è il richiamo della Raccomandazione CM/REC(2010)5 al principio secondo il quale non può essere invocato nessun valore culturale, tradizionale o religioso per giustificare il discorso dell’odio. Da ogni forma di discriminazione o violenza, che impedisce alle persone pari dignità sociale e non permette di vivere pienamente e liberamente la propria identità e personalità, risulta necessaria la condanna da parte dello strumento penale. Nella violenza e nella discriminazione di stampo omotransfobico, infatti, né il reato né l’autore di questo possono essere considerati neutrali rispetto alla peculiarità dell’orientamento sessuale della vittima e della sua identità di genere, che, anzi, ne costituiscono il fondamento. Pertanto, non risulta agevole una incriminazione a danno del reo per motivi abbietti, da cui ne consegue che il movente transfobico sia una mera circostanza aggravante. In mancanza di una fattispecie ad hoc che qualifichi questi come reati d’odio, il nostro ordinamento subisce una falla anche con riferimento al sistema giudiziario: questo, non disponendo delle competenze necessarie per identificare tale fattispecie di reato non riesce a fornire adeguata assistenza e sostegno alle vittime. Se la discriminazione e la violenza fondate sul motivo omotransfobico non trovassero riparo nello strumento penale, saremmo di fronte ad un pericoloso retrocedere nella protezione dei diritti fondamentali dell’uomo, monito dell’erosione non soltanto della sicurezza della comunità LGBTIQ+. Al centro del dibattito mediatico tra partiti politici, il disegno di legge in questione fa emergere delle criticità in ordine al bilanciamento fra due principi costituzionalmente protetti: libertà di manifestazione del pensiero, da un lato, pari dignità dell'uomo, dall’altra. Essendo quest'ultimo il connotato essenziale ed imprescindibile della persona, viene invocato a sostegno della scelta di criminalizzazione. Il problema di tale bilanciamento di valori, invero, verrà scongiurato dal giudice, laddove nelle ipotesi di manifestazione di opinioni, quand'anche esse esprimano un pregiudizio, non sarà applicato l’articolo 604-bis. L'atto della Camera dei Deputati n. 868, presentato il 4 luglio 2018 vita testualmente: “ La differenza tra mero pregiudizio e reale discriminazione dipenderà da condizioni di tempo e di luogo con le quali si manifesterà il messaggio, dalle modalità di estrinsecazione del pensiero e così via, in modo da verificare se il fatto si possa ritenere realmente offensivo del bene giuridico protetto.” L’emergenza omotransfobica, i cui dati rilevati dall' OSCAD non risultano neppure idonei a monitorare il fenomeno in mancanza di una legge, è una realtà che l’ordinamento ha posto ai margini: finora, il Dipartimento delle Pari Opportunità ha finanziato varie attività di sensibilizzazione inefficaci, che in concreto non hanno avuto la forza di diffondere la cultura del rispetto dei diritti umani, né di creare un ambiente che superi l’omertà legata ad atti di violenza. Ecco il motivo per il quale non ci è concesso parlare di “diffuso allarmismo sociale" e di “legge assolutamente superflua". Idee di tolleranza ed inclusione sociale devono passare anzitutto dalle nostre autorità e dagli enti pubblici ad ogni livello, dovendosi questi astenere da dichiarazioni che possono invitare all’odio. Si dovrebbe promuovere il rispetto dei diritti umani di tutte le persone ogni qualvolta avviene un dialogo con i rappresentanti della società civile. Cara democrazia, aspiro a che tu permetta alle persone di esprimere la propria personalità in maniera limpida, priva da forme di paura; aspiro a che tu possa permettere alle persone LGBTIQ+ di non dover legittimare il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere, evitando, così, il carico emotivo di dover gestire un coming out in una società che presenta modelli culturali lontani dal ritenere, in concreto, omosessualità e transessualità normali espressioni della persona umana. E se è vero che tu, democrazia, vuoi garantire la libertà di manifestazione del pensiero di tutti coloro che vivono sotto la tua ala, allora è bene che tu criminalizzi tutte le forme di discriminazione e di violenza che non consentono una vita libera ed uguale, perché non è un’opinione la promozione dell’odio. Denise Bagnato