
Tutti noi conosciamo sicuramente il brano "Samarcanda". Grande capolavoro di Roberto Vecchioni, propone un'allegoria, quasi una personificazione della morte, che insegue il protagonista per tutta la durata della canzone.

L'ineluttabilità del proprio destino, al quale non si può sfuggire in alcun modo, viene incarnata dalla figura di una donna vestita di nero. Nonostante il protagonista del brano si sia accorto della presenza maligna, alla fine qualsiasi tentativo di sfuggirle non va comunque a buon fine. A dimostrazione che, pur sapendo di essere condannati, o forse proprio per questo, si andrà poi comunque incontro a tutto quello a cui si è destinati, indipendentemente dalla propria volontà.Neanche la fuga con il cavallo più veloce può salvare il protagonista della canzone, verosimilmente scampato alla guerra, ma paradossalmente destinato a morire dopo, in un momento di pace e di festa con gli altri soldati. La città di Samarcanda rappresentava per lui l'ultima speranza di salvezza, una meta a kilometri e kilometri di distanza da quell'inquietante figura, e invece è paradossalmente proprio quello il suo luogo di morte.Che si conosca o meno in anticipo il proprio destino non ha granchè importanza, e ironicamente se ci si preoccupa troppo e ci si fa condizionare dai propri presagi, paradossalmente ci si getta ancora prima tra le braccia del fato.L'ironia di questo brano, graffiante e beffarda, si può ricondurre anche ad un vecchio detto siciliano: "Morti e Sorti unni vai ta potti".Che fosse proprio questo quello a cui stava pensando il quando ha creato la sua opera "La morte"? (Presente qui a lato, e fotografata proprio durante ).Citando ancora una volta qualcuno: "Coicidenze? Io non credo ;)"
grande scultore Domenico Tudisco
la mostra a lui dedicata al Palazzo della Cultura di Catania