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Valerio Saitta

Disabilità e istruzione: la scuola italiana è la più inclusiva d’Europa, ma c’è anche qualità?

2025-03-01 06:00

Valerio Saitta

Apertura, Scuola,

Disabilità e istruzione: la scuola italiana è la più inclusiva d’Europa, ma c’è anche qualità?

L’Italia è il primo Paese in Europa dal punto di vista dell’inclusione scolastica. A dirlo è un’indagine condotta dall’Osservatorio sui Conti Pubblici

L’Italia è il primo Paese in Europa dal punto di vista dell’inclusione scolastica. A dirlo è un’indagine condotta dall’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica di Milano, analizzata dal portale specializzato Skuola.net.
Secondo i dati è emerso infatti che il 97% degli studenti con bisogni educativi speciali partecipa quotidianamente alle attività delle classi comuni. Seguono il Portogallo con l’87%, la Grecia con l’85% e la Spagna con l’83%. Una percentuale che ci colloca quindi al primo posto del Vecchio Continente e mostra una netta inversione di tendenza rispetto ad un passato non troppo remoto, caratterizzato da una significativa esclusione.

In altri Paesi europei le famiglie possono scegliere tra scuole ordinarie e scuole speciali per i propri figli con disabilità. In Germania, solo il 52% degli studenti con disabilità è iscritto a scuole ordinarie, in Francia, pur registrandosi un’alta percentuale di iscrizioni nelle scuole regolari (87%), solo il 43% degli studenti con disabilità partecipa alle lezioni con i compagni senza sostegno separato. Ancora più marcata è la situazione in Danimarca, dove appena il 9% degli alunni con disabilità trascorre la maggior parte del tempo nelle aule.

Dati che certamente ci riempiono d’orgoglio, ma non è tutto rose e fiori. Perché si guarda ad un altro dato, quello del conseguimento di un titolo, notiamo che purtroppo il meccanismo si inceppa in un certo punto. Infatti in Italia, solo il 29,5% dei disabili tra i 18 e i 24 anni - con patologie lievi o gravi - ha il diploma di terza media. In pratica quasi 7 su 10 si perdono strada facendo. 

Va notato che questo fenomeno si riscontra in molte nazioni e l’Italia non è nemmeno tra le peggiori dato che la media europea è del 22,5%. Ciononostante non è una statistica di cui possiamo essere fieri, dato che recentemente nel nostro Paese il numero degli insegnanti di sostegno è incrementato: ora rappresentano quasi un quarto dell’intero corpo docente. 

A cosa può essere dovuto ciò?

In alcuni casi purtroppo dall’aggravarsi della disabilità, che porta molte famiglie ad essere costrette a far stoppare prima il percorso di studi al ragazzo. Ma secondo altri molto dipende dai docenti e della loro insufficiente preparazione nell’affrontare le problematiche legate alla disabilità. 

Quasi il 30% degli insegnanti di sostegno non ha frequentato un corso di specializzazione specifico, viene chiamato da GPS, da graduatoria interna o addirittura da messa a disposizione. Può fare sostegno (così come un docente di materia) anche un neo laureato, che sarà certamente preparato nella disciplina di riferimento, ma che magari non sa nulla di pedagogia, di psicologia o di metodologie per l’insegnamento ai ragazzi più fragili.

Poi c’è anche il discorso della precarietà: solo 4 su 10 insegnanti in Italia hanno un contratto stabile (in media nazionale). Uno dei principali problemi della scuola italiana è proprio la mancanza della continuità, con alunni che spesso si ritrovano a cambiare ogni anno insegnante di sostegno. E cambiare insegnante di sostegno significa entrare nuovamente in sintonia con lui, adattarsi al suo metodo (e viceversa l’insegnante adattare il suo allo studente), cambiare modo di studiare ecc.

Quali soluzioni allora?
Le assunzioni dovrebbero essere fatte a garanzia degli alunni. E la preparazione dovrebbe essere obbligatoria per tutti gli insegnanti, perché avere a che fare con i disabili non è un gioco e non ci si improvvisa. Speriamo che le istituzioni si rendano conto di questa situazione e del fatto che di essere primi in Europa per inclusione non serve a nulla se non si mettono questi ragazzi nelle condizioni di avere un titolo spendibile nel mondo del lavoro, o di avere una preparazione che li aiuti ad affrontare la vita con tutte le difficoltà che loro hanno. Stare in classe non sempre è necessario. Spesso sono gli stessi alunni che preferiscono studiare in un’aula a parte, perché la loro concentrazione diminuisce se stanno insieme ad altri. Invece “l’aula di sostegno” è considerata irregolare e demonizzata da molti, come fosse un bunker, un luogo di esclusione. Ma perché è vista come un male se l’alunno lì è più tranquillo o apprende maggiormente nel rapporto tu per tu? 

L’inclusione secondo gli standard Unesco si ha quando un alunno con disabilità trascorre almeno l’80% del tempo con i compagni nelle classi comuni. Ma siamo sicuri che bisogna arrivare a stare per forza in classe quasi tutte le ore se poi si sarà esclusi nella vita futura? Secondo noi non servono percentuali o numeri precisi, non serve stare in classe 20 ore o 10 ore, fare attività al computer o fare attività manuali piuttosto che ordinarie. Ogni alunno disabile è un mondo a sé. Viene invitato a partecipare a tutte le attività, ma bisogna seguire le sue caratteristiche. Non conta la quantità ma la qualità e il risultato.